Categoria: <span>Stress</span>

Stress e Cardiopatie

Diverse ricerche e studi specialistici affermano, già da alcuni anni, che lo Stress non va sottovalutato. L’espressione “… è solo stress …” è tutt’altro che innocua e nessun medico, né specialista, dovrebbe assumere un atteggiamento superficiale quando “riscontra”, appunto, un certo livello di stress nel proprio paziente.

Le evidenze scientifiche riguardano, inoltre, la correlazione tra disagio psicologico e salute cardiaca: ansia, depressione e quindi stress  sono stati identificati  come  fattore di rischio  per la cardiopatia ischemica. Forse, non è un caso che almeno il 50% dei pazienti con infarto ha avuto precedenti di depressione (studio Interheart). Lo studio in questione ha analizzato i dati di oltre 26mila soggetti provenienti da più parti del mondo e si è concentrato principalmente su alcuni Stress Psicosociali, tra cui, stress familiare, lavorativo e finanziario.
Tutti i fattori di stress sono risultati associati all’infarto miocardico!
Lo stress agirebbe come un vero e proprio “mediatore biochimico” interferendo con la coagulazione del sangue e l’aggregazione delle piastrine, determinando un’ostruzione coronarica e portando all’infarto del miocardio.

Il lavoro è causa di stress per almeno il 60% della popolazione mondiale e lavorare troppo fa male! “Se il vostro paziente parla troppo di lavoro, dovreste subito prescrivere una vacanza”. Tale assunzione dovrebbe essere incisa, a caratteri cubitali, sulle pareti di tutti gli studi di medicina di base.
Secondo una ricerca della Ohio State University, le donne impegnate eccessivamente da un punto nei vista professionale rischiano di più di avere problematiche di salute: superare le 40 ore settimanali aumenterebbe il rischio di diabete, tumore, cardiopatie, artriti. Ovviamente, gli uomini non sono indenni.  Superare le 50 ore (per uomini e donne) significherebbe anche incorrere maggiormente in un ictus.

Il lavoro può dunque diventare una trappola mortale!

scelte

Sindrome del colon irritabile e Ipnosi

La Sindrome del Colon Irritabile è una problematica caratterizzato da ipersensibilità dell’intestino crasso che comporta l’alternarsi fastidioso di stitichezza e scariche diarroiche, accompagnate da dolori addominali.

I sintomi arrivano quasi in modo imprevedibile e interferiscono con la vita quotidiana. Prendere un mezzo pubblico, salire in aereo, fare una fila, diventano situazioni preoccupanti e ansiogene, tanto da far aumentare le condotte di evitamento ed ansia sociale. Frustrazione e depressione possono scaturire da tale problematica, oltre ad un  costante vissuto di imbarazzo.

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Come ormai comprovato da molti studi e dalla stessa psicosomatica, esistono diversi collegamenti tra cervello e intestino. Inoltre,  l’intestino contiene molti neurotrasmettitori simili a quelli cerebrali, assolvendo   anche a funzioni di elaborazione. Sappiamo  che i due organi sono in intimo contatto tra loro,  permettendo così  un’elaborazione di ciò che ci accade e di ciò che viviamo  ad un livello “alto” e uno “basso”.

 

La sindrome del colon irritabile è molto diffusa ed è al contempo, sottovalutata. Sembra che in Italia ne soffra almeno il 18% della popolazione, con una prevalenza tra le donne.
Colpisce soprattutto persone che operano in contesti stressanti o persone che vogliono fare a tutti i costi carriera o che si obbligano a raggiungere standard elevati, tanto che negli USA viene anche chiamata “career woman’s disease” o malattia delle donne in carriera!

Se da un lato la sindrome del colon irritabile è considerata di natura funzionale, dall’altro lato, non sembra ci siano cause organiche  dimostrabili. Essa tende a peggiorare se non affrontata da uno specialista, soprattutto perché comporta disagi psicologici aggiuntivi e a causa dei diffusissimi rimedi “fai da te”!

Nonostante importanti connessioni tra fattori fisiologici e sociali, le cause della sindrome sono però soprattutto psicologiche:

  • Perfezionismo.
  • Conflitto di ruolo, ovvero il modo di rapportarsi al mondo.
  • Tendenza ad auto colpevolizzarsi.
  • Tendenza ad assumersi la responsabilità di qualsiasi evento negativo.
  • Elevati livelli di autocondanna.
  • Autozittirsi, assecondando le altrui esigenze.
  • Sottovalutazione di se stessi.
  • Autoefficacia labile.
  • Evitamento del conflitto.
  • Sviluppo di un  falso sé, per soddisfare le richieste sociali.

Dove Mirco Turco

Rompere lo schema  cognitivo e comportamentale è al pari molto importante per affrontare e gestire la problematica. La persone con sindrome del colon irritabile, sovente, pone un’attenzione selettiva alle sensazioni del corpo ed effettua, successivamente,   un’interpretazione catastrofica di esse. Qualsiasi sensazione viscerale viene rapportata così al problema intestinale e  cominciano ad innestarsi svariati pensieri negativi: “sto male … dovrò scappare in bagno … che figura …”. Ciò comporterà ulteriore stress ed  ansia.

Se da un lato farmacologia e dieta adeguata sono i trattamenti storici, è importante anche un supporto psicologico al fine di ridurre intensità e frequenza dei sintomi, ridurre e gestire stress ed ansia, migliorare la qualità della vita in generale.

Le persone con sindrome del colon irritabile alternano il loro atteggiamento mentale, da chiusura ad apertura; sono persone che  danno e trattengono, legittimano i propri bisogni e li negano, si arrabbiano e reprimono, vivendo sempre in un grande dubbio. L’insicurezza gioca un ruolo fondamentale nella loro vita. La fiducia in sé stessi e l’autostima vacillano quotidianamente.
Dare forma ai propri bisogni, lavorare sull’ipersensibilità alle critiche esterne, superare la passività, dare un nuovo equilibrio alle relazioni, senza paure e sensi di colpa, diventano tappe obbligate di una terapia psicologica della persona con sindrome del colon irritabile.

Alcuni studi specialistici (Webb AN, Kukuruzovic RH, Catto-Smith AG, Sawyer SM, “Hypnotherapy for treatment of irritable bowel syndrome”; Wilson S, Maddison T, Roberts L, Greenfield S, Singh S; dello Birmingham IBS Research Group, “Systematic review: the effectiveness of hypnotherapy in the manaement of irritable bowel syndrome.” Aliment Pharmacol Ther. 2006 Sep 1;24(5):769-80, …), dimostrano come l’IPNOSI sia molto efficace nel trattamento della  Sindrome, poiché non comporta alterazioni strutturali del corpo e riduce le sensazioni dolorose. Inoltre, smuove risorse e potenzialità, mobilitando energie e qualità per affrontare e gestire al meglio la propria esistenza.

Attraverso l’ipnosi e mediante alcune tecniche che possono essere utilizzate dal paziente in piena autonomia, viene ridotto progressivamente l’impatto negativo della sindrome e si riduce l’incidenza dell’ansia. Parallelamente, lo stress derivante viene ridotto e gestito strategicamente, consentendo un riappropriarsi della propria vita e un migliorando globale del benessere dell’individuo.

L’ipnosi non è controproducente e non ha alcun effetto collaterale. Risulta una pratica psicologica e medica sempre più pragmatica e utile per l’equilibrio psicofisico.

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Insegnare: tra stress, burnout e solitudine.

In Giappone gli unici cittadini che non sono obbligati ad inchinarsi davanti all’imperatore sono gli insegnanti. Il motivo è che i giapponesi sostengono che senza insegnanti non ci possono essere imperatori“.

L’insegnante: uno dei lavori più nobili e difficili. Chi sceglie di “insegnare”, infatti, svolge un ruolo e ricopre mansioni che non si esprimono semplicemente con un trasferire informazioni o nozioni. Insegnare significa “tirar fuori”, educare, agevolare, motivare, comprendere. Un mestiere non semplice, anche perché il contesto scolastico-educativo si inserisce in un quadro più ampio e articolato: organizzazione scuola, società, famiglie. Affermare oggi che insegnare è stressante suona retorico. Eppure, in questo settore, si fa poco o forse nulla!

L’insegnamento appartiene alle “helping-professions” e il rischio potenziale di stress, conflittualità emotive e burnout è elevatissimo. L’insegnante è un mediatore di cultura, un valutatore, un esperto di programmazione didattica, un genitore alternativo e sostitutivo e di fatto, suo malgrado, si trova sovente a fare lo psicologo. Vivere tale pluralità del ruolo è intrinsecamente stressante e il coinvolgimento non è solo cognitivo, ma anche emotivo e motivazionale. Paradossalmente, è ovvio che, prima o poi, l’insegnante “bruci”!

Se da un lato lo stress va considerato una prima risposta di adattamento dell’organismo innanzi ad una minaccia, superare la fatidica “soglia” apre altri scenari …

sindrome del burnout

La “sindrome del burnout” è stata coniata nei primi anni settanta da Freudenberger, uno psicoanalista che aveva notato come molti colleghi che lavoravano in un ambiente prima gratificante, progressivamente diventavano cinici, freddi con i loro pazienti e depressi. Continuando a studiare tale fenomenologia, presto scoprì che tali caratteristiche potevano essere riscontrate anche in altri ambienti lavorativi.

Si accorse, inoltre, che molte persone soffrivano anche di alterazioni dell’umore, disturbi del sonno e difficoltà di concentrazione. Mal di schiena e altri disturbi a livello gastrointestinale si aggiungevano a tale sintomatologia.

Il burnout divenne allora sindrome da esaurimento psicofisico causato dalla vita professionale. La sindrome ha una sorta di escalation e se vogliamo possono essere identificati ben 12 step che “scottano” e che di fatto, riguardano la vita di molte professionalità e in particolare degli insegnanti.

  1. Bisogno compulsivo di mettersi alla prova: inizia spesso con un eccesso di ambizione e un desiderio di affermarsi con colleghi e superiori ma anche con se stessi.

  2. Lavoro sempre più duro: si assumono impegni sempre più incombenti e la persona si percepisce come insostituibile.

  3. Disinteresse verso i propri bisogni: le normali esigenze di socializzazione o quelle più naturali e materiali (dormire, mangiare, stare in famiglia) passano in secondo piano.

  4. Spostamento del conflitto: la vittima intuisce che c’è qualcosa che non va ma non riesce ad identificare l’origine reale dei suoi problemi.

  5. Revisione critica dei valori: l’individuo, progressivamente, effettua una revisione di ciò che prima era importante per lui (amici, svago). Il lavoro diventa l’unica cosa rilevante.

  6. Negazione dei problemi emergenti: intolleranza, cinismo e aggressività emergono. I colleghi vengono ritenuti poco intelligenti e pigri. Le difficoltà avvertite vengono attribuite alle scadenze lavorative e alla mole di attività e non al cambiamento personale.

  7. Isolamento sociale: i contatti e le relazioni sociali si riducono. Il soggetto comincia a perdere speranze e si rifugia, sovente, nel consumo di alcool e droghe.

  8. Cambiamenti comportamentali: la vittima ora diventa paurosa, timida, apatica. Irriconoscibile davanti a familiari e amici. La propria stima svanisce.

  9. Depersonalizzazione: il soggetto perde il contatto con se stesso. Le cose e le persone cominciano a non avere valore.

  10. Vuoto interiore: il vuoto interiore prende sopravvento e la persona cerca, in tutti i modi, di sentirsi attivo in modo mal-adattativo (conforto nel cibo, uso droghe e alcool, …).

  11. Depressione: le persone diventano indifferenti, prive di energia e pervase da un senso di disperazione. Possono manifestarsi i sintomi della depressione. Nulla ormai ha più significato come un tempo.

  12. Sindrome del burnout: la persona crolla in senso fisico e mentale.

 

sindrome da esaurimento psicofisico Mirco Turco

Una ricerca importante in tema di burnout (studio Getsemani) condotto intorno agli anni 2000 ha confrontato quattro macro-categorie di lavoratori dell’amministrazione pubblica: insegnanti, impiegati, personale sanitario, operatori.

I risultati illustrarono che gli insegnanti sono soggetti a una frequenza di patologie psichiatriche da collegare al burnout in misura doppia rispetto agli impiegati, due volte e mezzo rispetto al personale sanitario e tre volte rispetto agli operatori. Il burnout da insegnamento è, di fatto, una problematica riscontrata anche in altri Paesi e non è una “prerogativa” solo italiana.

Cosa fare allora?

Anzitutto, sarebbe importante valutare e controllare bene la diffusione della problematica su più fronti con professionisti del settore. Interventi in ambito scolastico rivolti esclusivamente agli insegnanti sono in realtà rarissimi o addirittura assenti. In un’ottica di prevenzione e benessere negli ambienti lavorativi, si potrebbero adottare anche semplici misure:

  • Riequilibrare le risorse fisiche: mangiare cibi sani, rispettare le pause, praticare esercizio fisico, dormire a sufficienza.

  • Praticare il rilassamento, soprattutto per chi è “intossicato” dal lavoro. Effettuare attività di svago piacevoli, preferibilmente in contatto con la natura.

  • Equilibrio tra corpo e mente: tappa obbligata per stare bene, al pari di raggiungere un qualsiasi successo.

Secondo recenti indagini, circa l’80% degli insegnanti sarebbe stressato. In Inghilterra ogni docente ha a disposizione un medico di base e un professionista della salute psicologica a cui rivolgersi per problematiche professionali e personali. In Francia, il danno derivante da stress correlato alla professione è largamente riconosciuto. In Germania esistono le “stanze del conflitto”, ove i lavoratori si confrontano e si scontrano per rendere palesi i problemi, le difficoltà, le incomprensioni. E in Italia?

Le normative prevedono che il datore di lavoro introduca periodicamente misurazioni dello stress nell’ambiente lavorativo, proprio al fine di individuare fonti e livelli di stress psicologico.

È mio parere che le valutazioni vengano fatte superficialmente e “strategicamente”: nessun datore di lavoro vuole far sapere che l’ambiente lavorativo è stressante! Inoltre, finché gli obblighi vengono raggirati con strumenti, colloqui e questionari né validi né attendibili e utilizzati da personale non formato o tramite procedure on-line, ogni lamentela sul lavoro, sulle organizzazioni, sui lavoratori e sugli utenti, che siano studenti, clienti o semplici cittadini, appare vana.

Controllo dello Stress MIrco Turco

E’ possibile prevenire lo stress e il burn-out negli insegnanti?

Occorrerebbe utilizzare alcuni accorgimenti e strategie operative e pragmatiche: “un grammo di prevenzione vale quanto mezzo chilo di cura” (Maslach). Gli interventi potrebbero essere condotti a più livelli: da quello individuale, a quello organizzativo sino a quello istituzionale.

Adottare cambiamenti del proprio stile di vita è la prima tappa, anche al fine di attuare una vera e propria “decompressione” (staccare la spina). La formazione su determinate tematiche dovrebbe essere obbligatoria (non solo in senso teorico). Oltre a conoscere i rischi, cosa si può fare in senso pratico? Gli attori in campo dovrebbero perciò essere coinvolti in modo attivo e non solo “sulla carta”.

Forse sottovalutiamo ancora lo stress in generale e sopravvalutiamo le nostre potenzialità. Lo stress, talune volte, è solo questione di tempo!

Un’organizzazione che si occupa e si preoccupa del benessere del proprio lavoratore è un’organizzazione intelligente, che investe strategicamente nelle politiche antistress. Non è un caso che una persona stressata renda solo al 20%. Cosa significa questo sul piano educativo e scolastico? E sul fronte sociale in generale?

Gli insegnanti non si limitano solo a insegnare! Sono spesso degli esempi, delle guide. Hanno una responsabilità che non è solo professionale, ma squisitamente personale, sociale, che riguarda il presente ma anche il futuro degli altri, degli studenti, delle loro speranze, convinzioni, illusioni e sogni. Il personale scolastico e in generale quello educativo in tutti gli istituti ed enti, in tutti i livelli, ha l’obbligo di stare e sentirsi bene! Gli esiti della scarsa attenzione a tali questioni sono ben visibili attraverso le cronache odierne …

Oggi, non è più una questione di “riflessione” o di “fare attenzione”. È obbligatorio intervenire strategicamente. Creare un ambiente lavorativo equilibrato e funzionale non deve essere solo una semplice preoccupazione o un mero obbligo legislativo. È un investimento in termini di successo, efficacia, soddisfazione, Qualità. È una questione di nuova Cultura e rappresenta, a mio avviso, la vera mission di ogni scuola, così come di ciascuna organizzazione pubblica e privata.

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